Equanimità, una pratica del corpo che cambia la mente

 

Quello dell'equanimità è un concetto, anzi meglio, è una pratica fondamentale dello Yoga.

Prima di entrare nel vivo del tema, è importante allontanarci dall'idea che lo Yoga sia una disciplina rivolta alla sfera fisica del nostro essere: in quest'epoca in cui la parola d'ordine è 'apparire', si parla tanto di Yoga ma anche tanto erroneamente, associando a questo termine una serie di altri termini più 'moderni' che rimandano solo ed esclusivamente ad abilità fisiche, a posture acrobatiche, un misto di agilità e performance che non si comprende bene come potrebbero aiutarci a calmare il nostro perpetuo stato di stress ed agitazione mentale.

Solo comprendendo che lo Yoga è una disciplina esperenziale che utilizza il corpo (l'espressione del nostro essere) come strumento per 'allenare' e 'rendere abile' la nostra interiorità, allora potremmo godere dei benefici e i dei doni che la stessa disciplina vuole offrirci.

E tra questi il dono più grande è la possibilità di agire a partire da noi stessi per essere l'espressione del cambiamento che vorremmo vedere al di fuori.

Quindi è proprio comprendendo il messaggio dello Yoga che noi potremmo fare di esso un valido alleato per costruire un'interiorità equanime.

Lo Yoga, infatti, ci offre una strategia chiara per intraprendere questo cammino e i punti cardine di questa strategia sono l'osservazione e l'ascolto.

Durante la pratica, assumendo le varie posizioni (Asana), dobbiamo coltivare la qualità dell'osservazione rivolta a noi stessi, al vissuto mentale che si attiva spontaneamente, dobbiamo fermarci ad ascoltare le sensazioni sottili che la posizione produce a livello fisico, mentale ed emozionale e soprattutto allenarci a comprendere quali sentimenti coltiviamo nella relazione con noi stessi attraverso l'azione sul corpo, perché ciò che costruiamo con noi stessi è ciò che proponiamo all'esterno.

Siamo quindi ben lontani dallo sforzarci per diventare bravi ad eseguire una posizione capovolta in equilibrio sulla testa, in realtà siamo chiamati a fare molto altro, ossia coltivare durante la pratica di una posizione (che altro non è che simulare un'azione qualsiasi) dei particolari sentimenti rivolgendoli prima di tutto a noi stessi a partire dal nostro corpo.
Cosicché il non spingere il corpo oltre le sue possibilità diventa accettazione, non sentire dolore in una posizione diventa non violenza, eseguire dei gesti lenti e consapevoli diventa pazienza,
l'ascolto delle sensazioni sottili che il corpo ci rimanda diventa compassione, empatia ... tutte qualità che coltivate per noi stessi diventeranno la caratteristica del nostro agire all'esterno.

Un ulteriore 'allenamento' per rendere 'abile' la nostra interiorità è ampliare il punto di vista: durante una posizione noi siamo soliti portare l'attenzione alla parte del corpo più attiva e più coinvolta in quella stessa posizione, ebbene lo Yoga ci chiede di cambiare questa abitudine.

Osservare soprattutto ciò che non è interessato all'azione, espandere la nostra consapevolezza al processo nel suo insieme e percepire contemporaneamente tutto il panorama di sensazioni anche opposte che un'azione produce: percezione pura senza attaccamento al risultato!

Facciamo un esempio pratico: sdraiamoci a terra e afferriamo con la mano destra il ginocchio destro, poi portandolo al petto facciamogli eseguire dei movimenti di rotazione, la mente segue il gesto ed è naturale che si poggi a destra , nella parte attiva ..... Allora noi la spostiamo e la portiamo a sinistra rilassando completamente braccio e gamba sinistra a terra e restando tanto nella sensazione di questo rilassamento quanto nella sensazione dell'attività sul lato opposto, osservando cioè sia ciò che è attivo che ciò che è passivo, senza che nessuna delle due situazioni prevalga nella nostra interiorità.

Cosa accade con questo semplice esercizio?

Che la mente non si identifica in nessuna delle due realtà che il corpo sta vivendo, anzi è in grado di osservarle simultaneamente e se non siamo né nell'una né nell'altra ... allora siamo in entrambe, siamo al centro, siamo in equilibrio, la nostra coscienza si espande e vede il processo nella totale interezza, il particolare non invade totalmente la nostra interiorità ... stiamo allenando la nostra equanimità.
Stiamo osservando ciò che accade quando accade mentre accade, senza che la mente condizioni il vissuto.
Non stiamo preferendo, non stiamo alimentando, stiamo accogliendo quello che è per quello che è.

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