“Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti": questo è l'Obiettivo 4.
Riprendiamo il nostro viaggio non convenzionale attraverso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell'Agenda 2030 dell'Onu.
La cosa che mi è balzata subito agli occhi, accingendomi a scrivere sull'Obiettivo 4, è la parola ‘educazione’ nel titolo, evidentemente traduzione diretta da ‘education’, il termine inglese.
Poi nella declinazione dell'obiettivo in target specifici, naturalmente troviamo i termini ‘istruzione’, ‘formazione’, ‘apprendimento’ e tutte le altre parole in ambito.
Allora ho pensato di fare un piccolo approfondimento su questo perché, convinta come sono che ‘pensiamo come parliamo’, ripartire dal significato di questo piccolo arcipelago di parole - tutte strettamente connesse e alcune spesso usate come sinonimi - potrebbe non essere superfluo. Talvolta, infatti, ritornare alle origini getta nuova luce su termini dei quali il significato sembra dato ormai per scontato e che suonano, spesso, anche un po’ ‘logori’.
Nello specifico vorrei condurvi in una piccola indagine sui termini ‘scuola’, ‘apprendere’, ‘imparare’, ‘educare’, ‘istruire’, ‘insegnare’, ‘formare’.
Può sembrare, forse, uno strano esercizio ma io credo, invece, che aiuti a ritrovare i presupposti corretti per la realizzazione proprio dell’Obiettivo 4 sul quale sembra che tutto sia già stato detto anche nel nostro quotidiano di cittadin*.
Il termine scuola, in latino schŏla, viene dal greco σχολή, che in origine significava (come otium per i Latini) libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico. Più tardi indicherà anche un luogo fisico dove si attende allo studio. Il concetto originario di scuola, quindi, mette l’accento non sull’utilità pratica dello studio quanto, piuttosto, sulla libertà e la piacevolezza di questa attività e sulla dimensione ‘spirituale’ della stessa, su una sua connessione diretta e intima con le nostre motivazioni profonde, esistenziali.
Il termine apprendere viene dal latino ad-pre(he)ndĕre (prendere) che significava ricevere e ritenere nella mente, imparare. L’etimologia ci consente di recuperare una dimensione fondamentale, quella del movimento evidenziato dalla preposizione ad, un movimento che è una tensione al servizio di un desiderio.
Il termine imparare, deriva dalla forma del latino parlato imparāre, che risultava composta del prefisso rafforzativo in e del verbo parāre (procurare) e che propriamente significava procacciarsi una nozione, impadronirsene, mettersi in grado di saper fare qualcosa.
Il termine educare deriva dal latino ex-ducere, che letteralmente voleva dire 'tirare fuori', far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Cosa? I talenti presenti - spesso nascosti - dentro ogni essere umano.
Il termine istruire deriva sempre dal latino in-struere e significava costruire, assemblare materiali in una struttura.
Colpisce, in questo ultimo termine, il movimento da fuori a dentro – in – che ricorda un contenitore (vuoto?) in cui in-serire qualcosa. Esattamente l’opposto del movimento da dentro a fuori – ex – presente nel termine educare.
Educare e istruire sono, in maniera evidente, due approcci diversi. Il primo richiede una relazione e un ascolto da parte del soggetto guida; se voglio educare qualcuno devo ascoltarlo per capire cosa aiutarlo a tirar fuori da sé. È una relazione, una strada da fare insieme. Il secondo presume un ascoltatore passivo, un contenitore vuoto, che riceve informazioni/nozioni.
l termine insegnare deriva da in-signare (da signum: marchio, sigillo) e significava segnare, imprimere un segno. Anche questo verbo, quindi, implica una passività in chi viene ‘segnato’ sebbene solo nella mente (sarà meno grave?).
E in ultimo il termine formare che viene dal latino fōrmare e nel suo significato primario vuol dire dare forma a un oggetto; lavorare, modellare la materia per ridurla alla forma voluta.
Nel guardare a questi verbi tutti insieme, una cosa salta immediatamente all’occhio: apprendere e imparare presuppongono un desiderio, una intenzione, o almeno un interesse – sia pure inconsapevole, come è nei bambini - in chi compie l’azione senza il quale nessuno degli altri verbi – educare, istruire, insegnare, formare – è in grado di ottenere il suo scopo.
E allora eccoci al legame con l’obiettivo che vuole assicurare a tutti «un’educazione di qualità, equa ed inclusiva». E dove può avvenire questo, prioritariamente? In quella istituzione che chiamiamo scuola. Ma la scuola di cui, nella stragrande maggioranza dei casi, abbiamo fatto esperienza tutti noi e i nostri figli è, salvo rarissime eccezioni, un luogo nel quale qualcuno insegna, istruisce, forma e qualcuno dovrebbe imparare, ricevere passivamente, non ciò verso cui sente attrazione, ma ciò che qualcun altro ha deciso essere indispensabile. Per che cosa? Oggi per essere ‘pienamente operativi’ nel nostro modello di sviluppo economico, un modello in cui l’essere umano è ridotto a ‘risorsa’ produttiva standardizzata.
Niente a che vedere con l’apprendimento e con l’e-ducazione e tantomeno con la scuola come luogo di conoscenza di Sé e del Mondo, di libertà, di piacere, di pratiche di sviluppo di quel Sé - nello spirito e nel corpo – e di scoperta della propria motivazione profonda, di interrogazione sul senso della propria esistenza.
Ma fortunatamente, come ormai sembra incontrovertibile, l’attuale modello di sviluppo economico, che il nostro mondo ha cominciato a praticare in maniera estesa da un paio di secoli, sta mostrando tutta la sua insostenibilità. La dimensione globale in cui ormai si svolgono le nostre esistenze e il ritmo esponenziale dello sviluppo tecnologico hanno aumentato così tanto la complessità in cui ci muoviamo e la rapidità con cui le nozioni che ci vengono proposte diventano obsolete se non, spesso, del tutto inutili, che finalmente possiamo – e non possiamo fare diversamente - rimettere al centro l’umanità. L’essere umano nella sua capacità di cambiare, di evolvere, di ap-prendere ciò di cui ha bisogno per mantenersi in sintonia con la Natura e con gli altri esseri umani perseguendo uno sviluppo che sia sostenibile per tutti.
Ed eccoci alla seconda parte dell’obiettivo «opportunità di apprendimento per tutti».
Per questo abbiamo bisogno di pensare – tutti, governi, istituzioni, insegnanti, studenti, cittadini - a una nuova pedagogia, intesa come quella disciplina che studia i temi e i problemi connessi all’educazione dell’essere umano avvalendosi dell’apporto di numerose altre scienze (come filosofia, psicologia, antropologia culturale, sociologia, ecc.) per trovare i principî, i metodi, i sistemi che possano consentire, a tutti, l’apprendimento che gli è necessario, quando gli è necessario, nel modo più adatto per ciascun*.
Abbiamo bisogno di concepire un’’arte pedagogica’ sistemica che prepari le persone alla Vita, che le aiuti a porsi le eterne domande di senso che l’essere umano si pone da quando esiste «Chi sono?», «Dove vado?» «Perché sono qui?». Una pedagogia che fornisca una guida per riconoscere le risposte nella risonanza profonda che queste trovano sia dentro di sé che con qualcosa di più grande di sé e per imparare a rimetterle costantemente in discussione e affinarle con sempre maggiore sensibilità.
Sarà possibile, in tal modo, per ciascuna persona, trovare la forza e l’entusiasmo che servono per vivere la quotidianità con coraggio, curiosità, fiducia in se stessa, negli altri e nella Vita stessa, sentirsi in costante evoluzione, accogliere l’impermanenza di tutto come un valore e non solo come una condizione, né tantomeno come una minaccia.
Centrali, nel processo di apprendimento, quindi, non sono le nozioni, ma le attitudini e le capacità ad esse connesse. In particolare, se l'allievo è riuscito, a scuola, ad acquisire il desiderio e la capacità di apprendere, conserverà queste abilità per tutta la vita e continuerà ad apprendere in tutte le situazioni (imparare ad imparare, lifelong learning).
E c’è un altro principio pedagogico fondamentale: si apprende facendo, learning by doing. Apprendere, quindi, non significa ricevere passivamente delle nozioni, ma elaborare attivamente delle idee.
Da qui vorrei, soprattutto nel nostro Paese, una valorizzazione del lavoro manuale, inteso non come avviamento alle professioni, ma come educazione alla disciplina, alla socialità e alla progettualità richieste dalle attività di laboratorio.
Inoltre, i bambini che imparano a cucinare, ad esempio, non lo fanno per diventare dei cuochi di professione, ma perché attraverso il lavoro di cucina possono apprendere attivamente nozioni di zoologia, botanica, chimica, storia oltre che la gentilezza e i valori dello stare insieme. Quello che si propone di fare il LuciLab che ospitiamo qui, a Bottega filosofica.
Ecco la necessità di recuperare il valore dell’e-ducare rispetto all’in-segnare. Si tratta allora anche di volgere alla forma riflessiva alcuni verbi. Così istruire diventerà così istruirsi, acquisire le informazioni che mi servono per vivere bene, formare sarà formarsi, trovare, liberare la propria forma, imparando ad apprendere per tutta la vita attraverso l’esperienza.